Da una attenta lettura di alcuni testi, un’antica definizione nella classificazione della insufficienza mentale distingueva i frenastenici in “idioti” (suddivisi in tre gradi a seconda dell’assenza più o meno completa della parola) e “imbecilli ” (senza capacità di scrittura).
In seguito fu introdotta la debolezza mentale. Sollier considerava gli idioti come malati “addestrabili”; gli imbecilli, invece, erano ritenuti incorreggibili, degenerati e,in base al comportamento, antisociali. Voisin, al contrario, sottolineava il fatto che, mentre l’idiota è un infermo che deve essere completamente assistito poiché non sa provvedere alle sue necessità, l’imbecille, per quanto maldestro, turbolento ed incapace, può essere considerato un elemento attivo della società
I Paesi Scandinavi, la Germania e l’Italia hanno adottato il termine di “oligofrenia” o “cretinismo” per indicare quelle insufficienze dell’intelligenza congenite o precocemente acquisite, che, pur diversificandosi dal punto di vista eziologico e clinico, presentano un quadro psico-patologico più o meno omogeneo.
Bleuler suddivide l’oligofrenia in gradi: il grado massimo è denominato “idiozia”; il grado medio corrisponde all'”imbecillità”; il grado lieve è definito “debolezza mentale”.
Tuttavia, in tale classificazione, le demarcazioni tra i vari livelli non erano nette né oggettive per cui, dai primi del ‘900 ad oggi, la psicometria ha elaborato una misurazione quantitativa dei limiti e dei gradi dell’intelligenza. Inoltre, con il tempo e con l’uso, i termini “imbecille”, “deficiente”, “idiota” ecc., che in precedenza erano riferiti esclusivamente al deficit intellettivo, assunsero una valenza negativa diventando offensivi. Si rese necessaria, pertanto l’adozione di un nuovo tipo di classificazione essenzialmente descrittiva, non implicante alcun concetto né eziologico, né patogenetico, né valutativo, basata sul quoziente intellettivo (Q.I.) definito come rapporto tra età mentale ed età cronologica.
Binet e Simon elaborarono una scala per misurare l’intelligenza e, attraverso un esame consistente nella somministrazione di batterie di tests di livello di sviluppo intellettivo e di efficienza, si stabiliva l’età mentale del soggetto in funzione del superamento delle prove differenziate a seconda dell’età cronologica e sulla base del numero di risposte valide e non.
La normalità o meno del soggetto si stabiliva raffrontando i risultati ottenuti dal soggetto con i livelli medi. Un eccessivo allontanamento da questi indicava un ritardo mentale. Poi si capì che lo spazio intercorrente tra l’età cronologica e l’età mentale ha effetti più gravi a seconda dell’età cronologica. Vale a dire che lo stesso numero di anni di ritardo rispetto all’età cronologica varia di importanza e di significato a seconda dell’età reale del soggetto. Quindi più il paziente è piccolo, più il suo ritardo dal punto di vista diagnostico è grave.